Wednesday, December 15, 2010




"...L’aumento delle dimensioni degli insediamenti riduce il rapporto con il territorio e le risorse, centralizza i servizi e gli approvvigionamenti annullando la capacità di autonoma sopravvivenza delle comunità e asservendole sempre più a monopoli e gestioni private. In una città nessun individuo può direttamente trasformare gli spazi, né conformare il paesaggio, né produrre i propri alimenti, né accedere all’acqua o ad altre risorse indispensabili per la propria esistenza. In nessun parco pubblico un individuo può piantare un albero, né porre un nido, né allevare galline, né modificare, adattare, mantenere, riqualificare. Sono spazi predisposti per lo svolgimento di una specifica funzione di cui viene fornita anche la regolamentazione di uso; sono un’astrazione delle necessità degli individui, una semplificazione delle complessità dell’abitare, una limitazione dell’essere. Nella dicotomia pubblico-privato ciascuno spazio ha una sua funzione ed un suo regolamento; ma il loro insieme non soddisfa le esigenze e il piacere della comunità.
Le città contemporanee sono l’immagine concreta di una organizzazione sociale, sono rappresentazione di un autoritarismo culturale, economico e sociale altrove meglio celato.
Una comunità dovrebbe avere la possibilità di definire i luoghi in cui vivere e dovrebbe farlo potendo ricercare in via prioritaria il proprio benessere basato sullo stabile e duraturo equilibrio tra effettive necessità, disponibilità locali di risorse.
La città libertaria è tendenzialmente leggera, morbida, con dimensioni e numero di abitanti direttamente collegate alle risorse disponibili; città stabili non in crescita, né demografica né spaziale, ove le comunità si riappropriano di una delega data indirizzando le scelte degli amministratori, gestendo direttamente le attività, ricucendo il rapporto con le risorse, perseguendo un’autonomia economica, adattandosi alle condizioni dell’ambiente ed adattando esso senza destrutturarlo.
Ogni piccolo centro può essere rivissuto con nuova autonomia, ogni città può essere parcellizzata in aggregazioni più piccole attraverso l’azione diretta e la pressione esercitata sui “tecnici” per una urbanistica sociale e ambientale in cui il benessere diffuso non trovi compromessi, in cui i piani non siano giustificativi e mediatori di interessi, in cui le comunità controllano e gestiscono gli spazi e, attraverso di essi, la propria esistenza."
Adriano Paolella